mercoledì 29 ottobre 2014

Racconto di Halloween - Miss Jackson

"Raccontaci una storia di fantasmi!" squittì una ragazza, sporgendosi verso di lui e facendo oscillare le fiamme di alcune candele con il proprio movimento.
"Sì, facci spaventare!" incalzò l'altra.
Castiel sospirò. Non gli piaceva molto raccontare storie, e non amava in particolare quelle di fantasmi, ma dopotutto era la notte di Halloween, e le sue clienti erano così entusiaste e chiassose. Almeno, se si fossero messe buone ad ascoltarlo, avrebbero fatto silenzio.
"Non conosco storie di fantasmi." rispose galantemente. "Ma ne ho letta una interessante in un libro, una volta."
"Va bene lo stesso!" acconsentì la terza cliente, seduta di fronte a lui. "Adoro la tua voce, ti ascolterei per ore."
"Grazie." alzò lo sguardo verso il tavolo di fronte, dove Emily stava ripulendo le tracce lasciate dall'ultimo appuntamento di Noah, e la chiamò con un cenno. "Emily, vieni qui per favore."
Lei ubbidì immediatamente, si avvicinò e chiese:
"Sì?"
"Siediti insieme a noi. Vi racconterò la storia di Miss Jackson." accavallò le gambe, poggiò una mano sul ginocchio e cominciò a parlare con calma, mentre le sue clienti, un po' indispettite dalla presenza di Emily, aspettavano ansiosamente.
"Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Lord Farey e Mr. Shawn premeditavano una tremenda vendetta nel laboratorio segreto del primo. C'era una vedova che Lord Farey voleva morta ad ogni costo. Lui gli si era proposto molte volte, come secondo marito o come amante, ma lei lo aveva sempre rifiutato, infliggendogli ogni volta una nuova ferita nell'orgoglio e nel cuore.
 Mr. Shawn, ovviamente, non aveva alcun legame con questa storia. La sua unica sfortuna era quella di essere amico di Lord Farey, e incapace di rifiutare la sua richiesta di aiuto.
Dunque, i due confabulavano di commettere questo omicidio, ma avevano intenzione di renderlo un delitto perfetto. Innanzitutto, nessuno di loro voleva sporcarsi le mani, per cui decisero che avrebbero indotto qualcun altro a macchiarsi di tale peccato. La seconda cosa che stabilirono fu che si sarebbe trattato di una donna, in quanto sarebbe stato molto più semplice farla avvicinare alla vittima. Infine, per fare in modo che il delitto fosse veramente perfetto, avevano bisogno di qualcuno impossibile da identificare, un colpevole che agisse nell'ombra più totale. E chi avrebbe potuto fare al caso loro, meglio di una persona deceduta? Una donna morta non poteva essere accusata di nulla, né rintracciata. Qualsiasi prova contro di essa sarebbe stata totalmente futile: come poteva una donna morta risorgere dalla tomba per uccidere qualcuno?"
Emily ridacchiò e si spostò una ciocca di capelli:
"Quindi, i due decisero di evocare un fantasma, Castiel? Non mi aspettavo una storia tanto banale da te."
"Infatti, avevi detto che non conoscevi storie di fantasmi, Castiel!" si unì una cliente.
Lui annuì e riprese a raccontare:
"Lord Farey e Mr. Shawn non evocarono alcun fantasma, mia cara. All'inizio della storia, ho detto che i due amici si trovavano in un laboratorio segreto. Lord Farey era in possesso di un esotico macchinario in grado di ridare vita a qualcuno che fosse morto da non molto tempo, e che fosse tutto intero, ovviamente. Non chiedetemi quali principi ci fossero dietro a questa diavoleria, perché nessuno ne era a conoscenza.
Dunque, una sera, i due si recarono al cimitero, alla ricerca di ciò che cercavano. Camminando tra le file di croci e lapidi, trovarono la tomba di Miss Jackson. Il ritratto inciso rivelava una ragazza bellissima, giovane e dai lunghi boccoli scuri, come quelli di Emily. Il terreno sotto il quale la fanciulla riposava era ancora morbido, segno che la sua triste morte era avvenuta da poco. Armati degli strumenti necessari, cominciarono a scavare, fecero emergere la bara, la forzarono e si trovarono di fronte alla ragazza. Era ancora più bella di quanto credessero.
Lord Farey chiese all'amico di prendere la ragazza in braccio per trasportarla al laboratorio, e Mr. Shawn ubbidì. Era fredda come il ghiaccio, ma la sua pelle era ancora morbida e liscia come la porcellana. Sembrava quasi che dormisse.
Nel laboratorio, legarono Miss Jackson con delle cinghie su un lettino e azionarono il macchinario. Poco dopo, sotto gli occhi increduli di entrambi, la giovane prese a tremare, poi a dimenarsi, bloccata dai legacci che la tenevano ferma, e infine spalancò i suoi grandi occhi.
Mr. Shawn corse a liberarla, mentre Lord Farey osservò meravigliato il risultato della sua opera. Ben presto, però, si resero conto che Miss Jackson era totalmente priva di memoria. Non conosceva nessuno, non ricordava le strade della città, non riconosceva alcuni oggetti. Tutto sommato, era meglio così, conclusero i due. Morta e senza ricordi: impossibile da trovare persino per il migliore degli ispettori e facile da plagiare.
Lord Farey istruì per bene la ragazza. Le mostrò come usare un pugnale per uccidere una persona e le fece vedere molte volte la sfortunata vittima delle sue congiure, in modo che la riconoscesse anche in mezzo alla folla.
Mr. Shawn, invece, si occupò di rieducare la dolce Miss Jackson, così che sarebbe riuscita a mescolarsi tra la gente come una signorina comune. Le insegnò le buone maniere, fecero insieme lunghe passeggiate e lesse per lei molti libri. Era inevitabile che finisse per innamorarsi di lei."
Emily ridacchiò di nuovo, ma infondo, quel racconto la intrigava.
"Che cos'è, una grottesca commedia romantica?"
Castiel sospirò.
"Non interrompermi, Emily.
Essendosi innamorato di lei, Mr. Shawn propose un piano alla ragazza: dopo aver realizzato la vendetta dell'amico, si sarebbero incontrati al cimitero, alla tomba di Miss Jackson, e sarebbero fuggiti insieme.
Arrivò il giorno in cui il delitto doveva essere compiuto. Di sera, con il pugnale nascosto nel corsetto, Miss Jackson si avviò sulle tracce della donna che tanto aveva fatto soffrire Lord Farey. La vide nel giardino della sua villa, insieme ai suoi bambini. Ridevano, e giocavano insieme. Teneva tra le braccia uno dei piccoli.
Miss Jackson esitò, si ribellò ai suoi ordini, lasciò cadere a terra il pugnale e corse via, diretta al cimitero, per incontrare Mr. Shawn e fuggire.
Purtroppo, però, Lord Farey scoprì l'accaduto e si infuriò. Recuperò la propria arma brutalmente gettata via dalla giovane risorta e la pedinò, intenzionato a toglierle la vita che le aveva ridato con lo stesso pugnale. Arrivato sul luogo dell'incontro apprese che persino il suo migliore amico, Mr. Shawn, aveva cospirato alle sue spalle.
Si avventò ferocemente sulla ragazza, ma l'amico lo contrastò, e al prezzo di una ferita, riuscì a salvarla.
Accecato dalla rabbia, Lord Farey abbandonò il pugnale per lanciarsi su Mr. Shawn e colpirlo a mani nude in pieno viso.
Di fronte a quello scempio, Miss Jackson cominciò a riflettere: se era tornata alla vita solo per uccidere una donna innocente, solo per mettere due amici l'uno contro l'altro, allora avrebbe preferito piuttosto restare morta. Quindi prese l'affilato pugnale abbandonato da Farey, se lo puntò dritto al cuore e... i due uomini, incapaci di reagire, la videro cadere e tornare alla morte, sulla sua stessa tomba."
Finito il racconto, Castiel guardò le sue clienti allibite, che, con la bocca schiusa, ancora pendevano dalle sue labbra.
"Che finale triste." commentò una delle ragazze. "Perché Miss Jackson avrebbe dovuto fare una cosa del genere?"
"Forse perché non voleva più lasciarsi usare." intervenne Emily, alzandosi per tornare al proprio lavoro. "È una bella storia, Castiel. Grazie di avermela raccontata."

sabato 25 ottobre 2014

A Devil in Paris - Lovely Hell

Una volta stavo per dirglielo.
Stavo per commettere l'errore più grande, e ho rischiato di perderlo.
Mi teneva stretta tra le sue braccia, alle mie spalle. Mi accarezzava lentamente, faceva scorrere le sue dita fredde sulla mia pelle, al buio della nostra stanza. Si divertiva a stuzzicarmi, a farmi ansimare e a tenermi ferma, finché, stanca dell'attesa, finivo per implorarlo a darmi di più.
Quella sera, forse perché era da molto tempo che non passavamo la notte insieme, fu di una dolcezza indimenticabile. Trascinata in una lunga agonia, tra gli spasmi e i suoi baci febbrili, il suo profumo, e guardando quegli occhi famelici, schiusi le labbra e pronunciai il suo nome con voce tremante.
"Castiel, io..."
Lui lo intuì, in qualche modo. Mise una mano sulla mia bocca per farmi tacere e rispose soltanto:
"No."
Lo guardai intensamente. Cercai di dirglielo con gli occhi, ma aveva già capito, e non c'era alcun bisogno di fare altro.
"Non dirlo." mi intimò in un sussurro. "Odio quella frase. La odio con tutto me stesso."
Poi, come a voler spezzare l'incanto in cui mi aveva annegata, riprese a farmi male, ad affondare dentro di me con più forza. In realtà, in quel modo mi faceva impazzire ancora di più.
Anche se non voleva sentirselo dire, anche se non mi permetteva di dirglielo, non poteva impedire che glielo esprimessi in altri modi, in tutti i modi possibili.
Infondo, non avevo davvero bisogno di parole per farglielo capire.
Anche nel suo inferno, nella sua prigione, in mezzo ai suoi sentimenti contrastanti, non potevo fare a meno di amarlo.

giovedì 23 ottobre 2014

Charming Devil - Book Trailer

Nessuno di noi è un professionista, qui.
Facciamo del nostro meglio.
L'illustratore di Charming Devil è un ragazzo di 17 anni, autodidatta.
La persona che ha realizzato il mio logo è poco meno giovane, e non ha chiesto compensi.
Chi ha messo insieme il video di seguito, non lo fa certo per mestiere. È solo qualcuno che ha più pazienza di me con queste cose, tutto qui.
Io? Non smetterò mai di imparare a scrivere. Ogni giorno sono soddisfatta dei miei progressi.

È con questo spirito che vi presento il Book Trailer di Charming Devil.
Ringrazio i miei lettori.







venerdì 17 ottobre 2014

A Devil in Paris - A Devil's Child

Stando da sola, avevo molto tempo per pensare. Quelle rare volte in cui uscivo non parlavo con nessuno, perché non riuscivo a capire una sola parola di ciò che sentivo. Castiel aveva provato a insegnarmi alcune frasi in francese, ma ero davvero negata.
E così, sola con me stessa, pensavo a tante cose. Fantasticavo, sognavo che un giorno lui tornasse a casa con una rosa tra le mani e mi dichiarasse il suo amore. Che cosa assurda, patetica e impossibile.
Castiel comprava la libertà degli altri, in modo subdolo incatenava a sé le persone che desiderava, ma lui rimaneva inafferrabile, sovrastante e libero, come un re.
Eppure c'era una sola cosa che riusciva a fargli chinare la testa, un solo nome, un ricordo, un pensiero fisso. Hannah.
Una mattina, davanti allo specchio, si osservò con una sorta di inquietudine. Gli passai davanti, e lui mi fece una domanda strana, ma in qualche modo ricca di dolore.
"Emily, tu... vorresti avere un figlio da me?"
Sarebbe stato facile cascarci, credere che stesse pensando davvero a un futuro insieme, ma ormai lo conoscevo bene. Castiel non intendeva illudermi. In realtà, stava solo ripensando a lei, a Hannah. La sua indimenticabile Hannah.
"No." gli risposi freddamente.
Era una bugia talmente evidente, che non mi sforzai di aggiungere altro. Qualunque cosa che avrebbe potuto legarmi a Castiel per sempre, era ciò che desideravo.
"Sarei un pessimo padre, non è vero?"
"No, al contrario. Con la tua gelosia e la mania di controllo saresti un padre perfetto." obiettai. "Saresti presente in ogni momento, protettivo e responsabile. Però, non potrei mai donare una cosa tanto preziosa a qualcuno che..." esitai. Ciò che stavo per dire faceva male soprattutto a me, e rendeva reale la mia paura più grande. "A qualcuno che mi abbandonerebbe."
Non so di preciso quale fosse stato il motivo, ma le mie parole lo infastidirono profondamente. Si voltò di scatto, strinse il mio mento tra le sue dita e mi impedì di distogliere lo sguardo. In quei momenti, dimenticava di moderare la propria forza, e mi faceva un po' male.
"Vorresti dire che con qualcun altro lo faresti?" sibilò nelle mie orecchie.
"No. Non in questo momento."
"Bene. Perché nella tua testa voglio restare solo, chiaro?" mi intimò, strattonandomi leggermente il viso.
"Chiaro."
"Brava bambina."
Gli sorrisi. Chi altro avrebbe mai potuto prendere il posto di quel diavolo, dentro di me?

sabato 11 ottobre 2014

A Devil in Paris - Devil May Cry

Castiel cercava di prendersi cura di me al meglio che poteva, ma quel corso gli portava via un sacco di tempo. Non si trattava solo delle lezioni che dava ai futuri host, ma anche di appuntamenti e cene insieme ai responsabili del progetto. L'agenzia per la quale lavorava era composta per la maggior parte da donne, ed era inevitabile che lui ci avesse a che fare.
Quando riusciva a passare del tempo con me, mi chiedeva cosa avessi intenzione di fare e mi accontentava proprio come avrebbe fatto un padre con una bambina. Sembrava quasi il suo modo di farsi perdonare.
La maggior parte delle sere, però, era impegnato a soddisfare le altre. Non mi raccontava nulla, usciva senza accennare alla sua compagnia e tornava tardi. Molto tardi.
Io mi addormentavo solo quando lo sentivo rientrare, quando si sdraiava stancamente accanto a me. Non conoscevo i nomi, né i volti delle donne che frequentava, ma avevo imparato a distinguerle tra loro, e gli avevo affidato dei nomignoli. Ad esempio, quando Castiel usciva con B., i suoi vestiti restavano impregnati di un profumo femminile aggressivo e pungente. Se tornava da un appuntamento con R., gli trovavo addosso macchie di rossetto rosso sangue.
Quella che odiavo di più era N., perché sembrava consumarlo fino all'anima. Lo lasciava stanco, esausto e stressato, e lo teneva con sé fino a notte fonda, a volte fino al mattino.
Ero gelosa, ero gelosa da morire. Mi sforzavo di non pensarci, ma la mia mente vagava da sola a immaginare cosa quelle donne facessero con lui, e alcune notti piangevo a dirotto, mi chiudevo in bagno, abbracciavo la sua giacca, poi rimettevo tutto a posto e andavo a dormire.
Una sera, lui tornò a casa prima del previsto. Non lo sentii arrivare. Mentre piangevo, appoggiata con la schiena sulle piastrelle gelide, lui bussò alla porta del bagno, e mi chiamò delicatamente.
Sobbalzai. Non sapevo da quanto tempo fosse lì, ma ero certa che mi avesse sentito frignare e mugolare, perché lo facevo sempre ad alta voce. Cercai di rimettermi in sesto e uscii fingendomi disinvolta, ma lui mi sollevò il viso, vide i miei occhi gonfi e sconvolti, e sospirò pesantemente.
Mi guardò negli occhi. Sembrava dispiaciuto, ferito, frustrato.
"Scusami." mormorò.
Mi abbracciò e mi tenne stretta. Il tessuto del suo cappotto mi pungeva, anche attraverso la mia camicia da notte sottile.
"Mi dispiace." mi disse ancora, con la voce rauca.
"Non è colpa tua. Dovrei smetterla di pensarci, dopotutto me lo hai sempre detto..."
"Emily."
"Mi hai sempre detto che non abbiamo quel tipo di relazione, ma non riesco ancora ad abituarmi."
"Non devi essere gelosa di me."
"Lo so, lo so. Non sono l'unica, e non lo sarò mai."
Mi accarezzò i capelli e mi sussurrò qualcosa che mi provocò un brivido dietro la schiena:
"Però sei l'unica che mi fa stare bene. Delle altre non m'importa niente."

venerdì 10 ottobre 2014

A Devil in Paris - Devil's pet

A volte, Castiel rincasava molto tardi e rimanevo da sola tutto il giorno. Ci eravamo stabiliti in un appartamento piuttosto ampio, in centro.
In quelle occasioni, Mami veniva a farmi visita, con l'intento di lenire più la sua solitudine che la mia. Si piantava sul nostro divano per ore, e parlava come una vera donna frustrata. La maggior parte delle volte mi raccontava di suo figlio. Ne era completamente assuefatta e innamorata, quasi come le sue clienti dell'host club.
"È molto bello, vero?" mi ripeteva in continuazione. "Bello, intelligente, e bastardo come suo padre. Avrei voluto vederlo più spesso da bambino, ma Gabriel lo ha tenuto tutto per sé."
A volte chinavo la testa e restavo in silenzio. Non sapevo proprio come risponderle.
"Anche le mie ragazze lo adorano. Tu come hai fatto ad incontrarlo? Non sei come quelle che si porta a letto di solito."
"Io... lavoravo al Charming Devil." risposi con le guance in fiamme.
"Oh. Castiel non mi ha mai parlato di te nelle sue lettere, eppure mi racconta sempre ogni cosa. Ultimamente, mi ha persino parlato di un certo gattino che si è intrufolato nel locale."
Strinsi i denti.
"Un gattino?"
"Sì, una gattina randagia. Di notte se la ritrovava in casa, e aveva preso l'abitudine di dormire nel suo letto. Alla fine l'ha adottata e l'ha chiamata Emily, come te."
Da una parte avrei voluto ridere, ma decisi di non commentare, e attendere che Castiel tornasse per chiedergli spiegazioni.
Le offrii dell'altro tè per cambiare argomento, ma Cassandra insisté:
"Sono preoccupata. Castiel è allergico al pelo dei gatti. Dovrei convincerlo a sbarazzarsene il prima possibile."
"Suo figlio non le ha detto la verità." sbottai irritata. "In realtà, è stato lui stesso a portare a casa quel... gatto. Ed anche quando cercava di scappare, glielo impediva."
"Davvero? Non gli sono mai piaciuti gli animali."
"Ah, secondo me, invece, quella gattina gli piace molto. Le ha persino comprato un collare con il suo nome inciso. Simile al mio ciondolo, vede?"
Mami mi scrutò con un'aria inquisitoria e gelida degna di suo figlio. Scosse la testa lentamente e mi disse:
"Sì, a lui piace scrivere il proprio nome sulle cose che gli appartengono. Da piccolo, lo faceva sempre."


martedì 7 ottobre 2014

Un messaggio da I. M. Another: A Devil in Paris

Desidero ringraziare chiunque abbia letto il mio romanzo, o anche solo qualche riga di esso.

Il seguito di Charming Devil è attualmente in lavorazione e, per quanto mi stia dedicando totalmente ad esso, è inevitabile che richieda una buona quantità di tempo. È in corso anche la traduzione inglese del romanzo, e ciò non velocizza i tempi.

Per ovviare all'attesa, ho quindi deciso di scrivere questa mini-serie, intitolata A Devil in Paris. La serie sarà pubblicata solo sul blog, in piccoli capitoli, narrati da Emily in prima persona, come una sorta di diario.

Gli eventi di  A Devil in Paris prendono luogo poco dopo la fine di Charming Devil e prima del suo seguito. In questo modo, sarà possibile tenere traccia della storia.
Non ho ancora deciso se questi capitoli verranno in seguito raccolti in un e-book, ma lo ritengo improbabile.

 A Devil in Paris non interromperà quelli che sono gli altri post che ogni tanto compariranno sul blog.

Ho creato una pagina Facebook di Charming Devil, e cercherò di farmi presente, anche se non sono un tipo da social network.
A presto, quindi.
I.M.




sabato 4 ottobre 2014

A Devil in Paris - Devil's Mami

"Il suo nome è Cassandra, ma tutti la chiamano Mami."
Questa fu l'unica informazione che Castiel decise di darmi.
"Cassandra e Gabriel... Castiel." dedussi ingenuamente. "Doveva essere molto innamorata. E anche romantica."
"Ti prego, non dire nulla di simile davanti a lei." mi fermò Castiel prontamente. "Odia mio padre, e odia la mia faccia perché è identica alla sua."
"Deve aver sofferto molto."
"Emily, ti stai facendo un'idea sbagliata. Non pensare a lei come a una dolce donna di mezz'età che prepara biscotti e tè... Perché è l'esatto opposto."
Scossi la testa, e lui trovò un modo piuttosto singolare di spiegarmi cosa dovevo aspettarmi da Mami.
"Dunque, se io avessi una ventina d'anni in più, e fossi una donna, come mi immagineresti?"
Deglutii e sospirai.
"Oh, mio Dio." mi lasciai sfuggire.
Lui ridacchiò e affermò:
"Esatto. Quella è Mami."
In realtà, neanche quella descrizione riuscì a prepararmi del tutto.
Quando Cassandra venne ad aprirci alla porta, mi ritrovai davanti ad una donna che sembrava fatta di silicone. Gli interventi di chirurgia plastica erano visibili in ogni parte del suo corpo: le labbra, gli zigomi, le palpebre, il seno, i fianchi. Aveva un trucco pesantissimo, una lunga coda di cavallo color platino e degli occhi come il ghiaccio. Le sue unghie erano lunghe e affilate, laccate di rosso, e le rughe sulle mani tradivano la sua vera età. La sua voce, poi, mi fece trasalire: era autoritaria e tonante.
Salutò suo figlio dandogli un bacio per guancia e subito dopo gli afferrò il viso con la mano, scrutandolo disgustata. Mi sembrò una scena orribile.
"Guarda come stai diventando." commentò nauseata. "Questa faccia... questa faccia è la copia sputata della sua."
"Non posso farci niente." le rispose Castiel ironico. 
"Lo so."
Accennò a me come se fossi stata un insetto. Un insetto che si era intrufolato in casa sua.
"E questa chi sarebbe?"
"Una mia collaboratrice."
Mami si voltò, mimò in modo crudele la smorfia del figlio e ribatté:
"Una che ti porti a letto."
"Esatto."
Per l'imbarazzo, credetti di sprofondare sotto terra. Non sapevo che tipo di rapporto ci fosse tra loro due, ma quel modo così diretto di dirlo mi lasciò allibita. Cassandra, da parte sua, non mostrò il minimo stupore. Mi guardò ancora con la coda dell'occhio e commentò:
"È piccola."
In effetti, nonostante indossassi un paio di scarpe col tacco, arrivavo a malapena alla spalla di Castiel, e poco più in basso a lei. L'altezza doveva essere una caratteristica di famiglia.
Eppure, fraintesi. Non era quello che Mami intendeva dire. Pestò la moquette con i suoi stivali pesanti, ci fece strada in casa e riprese:
"Anche tu con questo vizio delle ragazzine. Ce li ha diciotto anni?"
Non capivo perché parlasse come se io non fossi presente. Non le interessavo minimamente.
Cominciò a parlare in francese con Castiel, lui le rispondeva ridacchiando, e avevo la netta sensazione che mi stessero prendendo in giro, anche se non riuscivo a cogliere neppure una parola.
Non saprei dire se Mami fosse una bella donna o meno. Da una parte lo era certamente, ma dall'altra trasmetteva un qualcosa di negativo, di sporco e indecente. Non sembrava una mamma, neanche un po'. O perlomeno, non assomigliava affatto alla mia.

venerdì 3 ottobre 2014

A Devil in Paris - Diario di Emily

Quando siamo arrivati a Parigi, Castiel non era affatto entusiasta. Mentre il nostro aereo atterrava, lui stava sonnecchiando annoiato dalle ore di viaggio.
Siamo scesi, e non appena ho poggiato i piedi a terra, ho avvertito una stranissima sensazione di vuoto. Intorno a me, tutti parlavano una lingua che non conoscevo, non capivo cosa era scritto sui cartelli, non distinguevo le insegne dei negozi. Avevo una paura tremenda di perdermi. Davanti a noi, c'era un uomo con la sua bambina. Vidi la piccola spaventata e spaesata, proprio come lo ero io, aggrapparsi al braccio del padre e stringerlo forte. Istintivamente, feci la stessa cosa. Castiel non aveva l'aria dolce e paziente di quell'uomo, era svogliato e sbadigliava, ma mi trasmetteva sicurezza.
Lui sapeva già dove andare, era perfettamente orientato, parlava il francese in un modo tanto naturale che mi chiesi per quanti anni lo avesse studiato. Così, incuriosita, gli domandai:
"Sei già stato qui?"
"Ci vengo più o meno una volta all'anno."
"Oh... Quindi è qui che passi le tue vacanze."
"Non esattamente. Vengo a trovare una persona."
"Chi?"
Mi fissò infastidito per alcuni secondi, poi sogghignò.
"Ah, tanto sarebbe inutile nasconderlo." rispose. "Mia madre."
"Non parli mai di lei." mi sfuggì distrattamente.
Lui rise, mi cinse le spalle e disse:
"Non c'è bisogno che ti parli di lei, tra poco la conoscerai di persona."
Sbiancai in volto. Se solo provavo a immaginare che tipo di donna avesse potuto generare un ragazzo come Castiel, mi venivano in mente figure spaventose, quasi mitologiche. Una strega, un'imperatrice despotica, una di quelle matrigne malvagie delle favole.
Ancora non sapevo che quella persona che mi accingevo a incontrare era molto, molto più terrificante di quello che pensavo. Il suo nome mi fa tutt'ora tremare fin dentro le ossa. Cassandra, o come la chiamano tutti, Mami.