giovedì 25 dicembre 2014

A Devil's Wish

"Ah, queste cose non fanno per me."
"E dai, smettila di lamentarti!"
Guardò le strade con aria cinica. Tutte quelle luci colorate che lampeggiavano, gli alberi decorati a ogni angolo, persone accalcate davanti alle vetrine: ma che senso aveva? Infondo, era un giorno come un altro. Dopo tutti i festeggiamenti, i regali, ognuno sarebbe tornato mestamente alla propria vita, come se nulla fosse mai accaduto.
"Ti ricordo che ho rischiato di farmi espellere da scuola per te." riprese Eric, agitando le mani nelle tasche della felpa. "Mi devi questo favore."
"Hai rischiato di farti espellere perché sei un idiota, non per me. Nessuno ti ha chiesto di fare quello che hai fatto."
"Ehi!" protestò. "Quando qualcuno insulta il mio migliore amico, non posso stare a guardare. Se lo è meritato!"
"Non c'era bisogno che gli rompessi il naso."
"Sì, invece!"
Castiel lo guardò severamente, poi gli rivolse un sorriso benevolo. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma non trovava alcun modo per farlo. Le parole gli rimanevano bloccate nella gola, non riusciva a pronunciarle. Sospirò e cambiò argomento.
"Hai già in mente cosa regalarle?"
"No. Per questo ho bisogno di te."
"Ok. Sai almeno cosa le piace?"
"Be'... Le solite cose."
"Non ne hai idea, vero?"
Eric si grattò la nuca e chinò la testa, e Castiel rise. Si guardò intorno, cercò nella piazza gremita di persone l'insegna di qualche negozio che avrebbe fatto al caso loro, poi affermò:
"Infondo a questa strada c'è una boutique che sta per chiudere e ha la merce in saldo."
"Borsetta griffata a prezzo stracciato!" esclamò Eric, chiudendo la mano in un pugno. "Ottima idea!"
Si avviarono decisi verso la direzione scelta, lasciando le proprie impronte sulla neve caduta quella mattina. Molte persone, seppur indaffarate con gli ultimi acquisti natalizi, spendevano qualche istante a osservare quella strana coppia, quei due ragazzi così diversi tra loro: Castiel, distante dal mondo nella sua giacca lunga e scura, che non aveva ancora vent'anni e già sembrava adulto, ed Eric, entusiasta e sorridente come un bambino. Era difficile immaginarli amici, persino compagni di scuola.
Eric scosse la testa. Davanti a loro, una ragazza vestita come un gattino dei cartoni animati raccoglieva fondi per qualcosa e distribuiva volantini, faceva giravolte, canticchiava una sorta di canzoncina e si inchinava quando qualcuno le lasciava un'offerta e conversava con i bambini rapiti da quella sorta di gigantesco peluche vivente.
"Deve fare un caldo terribile là sotto." commentò. "Sai, mi sono sempre chiesto chi ci fosse, nascosto dentro quei costumi. Tu no?"
Castiel sbottò cinico:
"No, mai."
"Spesso ho sperato di vedere una ragazza bellissima che si leva quella testa di peluche e si volta a sorridermi."
"Eric, se fosse una ragazza bellissima, raccoglierebbe molti più soldi vestita da coniglietta di Playboy, che da peluche. Se le hanno messo in testa quella palla di pelo, deve esserci un motivo."
"Sei tremendo!"
Quando le passarono vicino, la ragazza gli offrì due dei volantini che teneva in un cestino di vimini, e li salutò agitando la mano, per poi tornare a gesticolare per i bambini che l'assalivano euforici.
Castiel ed Eric lessero distrattamente quei foglietti colorati.
"Raccoglie fondi per la mensa della scuola." fece Eric.
"Che razza di scuola è, se non può nemmeno permettersi una mensa?" commentò l'altro derisorio. "Certi istituti dovrebbero essere chiusi e basta."
"Non fare lo spocchioso solo perché hai qualche soldo in più, ok?"
Quando arrivarono davanti al negozio che Castiel aveva consigliato all'amico, entrambi rimasero con gli occhi sgranati ed esitarono. C'era una fila lunghissima all'ingresso, e una commessa infreddolita che cercava di tenere a bada i clienti e fare ordini.
"Oh, no!" esclamò Eric, "Quanto tempo ci vorrà per entrare?"
"Non meno di un'ora, e dubito che rimarrà qualcosa di decente."
"Accidenti!"
Castiel si accese un'altra sigaretta e si guardò intorno risoluto.
"Ascolta, vado a vedere cosa posso trovare in giro, tu resta a fare la fila."
"Davvero lo faresti?"
"Sì. Non farti fregare il posto, idiota."
Senza nemmeno ascoltare i ringraziamenti nei quali l'amico si era profuso, tornò a grandi passi verso la piazza, facendosi strada tra le famiglie sorridenti che occupavano i marciapiedi, i ragazzini che correvano avanti e indietro e le coppiette smielate che camminavano lentamente per strada.
Castiel si sentiva come in una bolla. L'unico essere umano rinchiuso in una bolla di realtà, mentre il resto del mondo si fingeva felice e festeggiava senza alcun vero motivo.
La ragazza-peluche era ancora lì, e i bambini non la circondavano più. Lui la guardò da lontano, incuriosito. La vide afferrare con le dita la testa di gatto che indossava e tirarla verso l'alto.
Ripensò alle parole di Eric e prese a fissarla con attenzione. Chissà com'era realmente, il suo volto.
Vide una splendida cascata di boccoli scuri scivolare dal collo alle spalle della ragazza, lentamente. Poi, lei scosse la testa per ravvivarli, e si stropicciò gli occhi prima di mostrare le iridi di un caldissimo color miele. Il viso era accaldato, le gote rosse, le labbra umide, il collo bianco e madido di sudore.
Restò con la bocca schiusa per lo stupore, e la sigaretta gli cadde a terra, rotolando un paio di volte prima di spegnersi nella neve. Sembrava una bambola di porcellana che aveva appena preso vita. Era bellissima.
Si avvicinò per guardarla meglio, pensando a un modo per parlarle. Infondo, sarebbe stato semplice. Gli sarebbe bastato mettere dei soldi nel cestino, iniziare una conversazione banale e portarla via con sé. Dimenticò completamente dell'amico rimasto a fare la fila fuori a un negozio. Doveva averla, a ogni costo. Voleva sentire la sua voce, il suo profumo, la morbidezza di quei capelli.
Osservandola, però, rallentò il passo. Era minuta, con le braccia gracili e le mani piccole. Il seno non ancora sbocciato e il corpo acerbo. Un fiore che non poteva essere colto così presto.
Si fermò e si premette un palmo sulla fronte. Cosa stava facendo? Quella era poco più che una ragazzina. Probabilmente, sarebbe diventata una donna stupenda entro un paio di anni, ma non poteva avvicinarsi a lei. Era abituato a un altro genere di ragazze, a quelle consumate nell'anima e nel corpo come lui, quelle alle quali poteva mentire senza avere sensi di colpa e che sapevano difendersi da sole. Una creatura così fragile e delicata, come un fiocco di neve... Aveva bisogno di essere protetta, mentre lui l'avrebbe solo sporcata, rovinata.
Sospirò con amarezza. Nel frattempo, un gruppo di bambini l'aveva di nuovo accerchiata. Qualcuno la chiamava, qualcun altro chiedeva abbracci e giravolte, e lei pazientemente li accontentava tutti. Non si accorse nemmeno di lui, quando le passò accanto e mise una cifra spropositata nel suo cestino.



    Nella mente di Castiel, quel ricordo era rimasto ben impresso. Erano passati quasi dieci anni, ma ricordava ancora perfettamente le fattezze di quella ragazzina. Seduto sulla sua poltrona, sul trono del Charming Devil, con il registro aperto tra le mani, alzò il volto verso Emily, che lucidava il pavimento canticchiando.
"No, non può essere." mormorò impercettibilmente tra sé e sé.

venerdì 12 dicembre 2014

A Devil in Paris - Hell of a Laundry

Ovviamente, ero io ad occuparmi di tutte le faccende di casa per Castiel. Pulizie, cucina, bucato: di giorno ero una badante, di pomeriggio l'animaletto da compagnia di Mami, e la sera, per tutta la notte e fino al mattino, finalmente, l'amante di Castiel.
Era impossibile che una persona come me non combinasse guai, ma cercavo di stare attenta, perché non riuscendo a pronunciare una sola parola in francese, non avrei saputo come chiedere aiuto.
Purtroppo, per quanto potessi essere prudente, c'erano cose che accadevano a prescindere, e non potevo fare nulla per evitarle.
La lavanderia si trovava al piano di sotto del nostro appartamento. Ogni volta che scendevo le scale, qualche indumento cadeva dalla mia cesta, e rischiando di rotolare giù per i gradini, mi chinavo a raccoglierlo. Finché si trattava delle camicie e delle giacche di Castiel, non mi preoccupavo più di tanto, ma è capitato spesso che i vicini notassero i miei completini succinti, e qualcuna di quelle cosette che Castiel mi regalava perché le indossassi apposta per lui. Era sempre così imbarazzante. Non sapevo cosa dire, e se anche mi fosse venuta in mente una risposta intelligente, non avrei saputo tradurla. Così sorridevo, recuperavo merletti, nastri, reggicalze e babydoll e continuavo per la mia strada, lasciando che i vicini mi credessero una sorta di maniaca sessuale.
E così, un giorno accadde uno di quegli eventi inevitabili. Vidi per la prima volta l'inferno, ed era fatto di acqua e bolle di sapone.
Non so bene cosa successe. Misi i vestiti nella lavatrice come al solito, poi il detersivo, la chiusi e l'avviai. Niente di più semplice. L'avevo fatto centinaia di volte.
Quella macchina infernale, però, cominciò prima a borbottare, poi a sussultare, e a emettere strani suoni e rumori, fino a che sentii scorrere dell'acqua, e prima che realizzassi cosa stava succedendo, il pavimento era diventato un prato di schiuma pericolosamente scivoloso. Mi avvicinai alla lavatrice con cautela, pensando di spegnerla, di rimediare, o perlomeno di interrompere quella produzione in massa di bolle, ma mi ritrovai per terra, supina, e con il mento dolorante: ero scivolata, e mi ero anche fatta male. Strisciai sulle ginocchia, raggiunsi la lavatrice, mi misi a premere dei tasti a caso per farla smettere, e non ottenni nessun risultato. L'acqua sgorgava copiosa, la schiuma aumentava di volume, e ogni volta che provavo ad alzarmi scivolavo di nuovo. Era un incubo. Presi il mio cellulare per chiamare aiuto prima che il piano di sotto si allagasse completamente. E chi avrei potuto chiamare? Non conoscevo nessuno. Mi toccò disturbare Castiel durante uno dei suoi incontri, e sperare che mi rispondesse, che mi desse una mano e che non si infuriasse troppo.
Con mia sorpresa, mi rispose preoccupato.
"Cosa è successo, Emily?"
"Ho bisogno di aiuto, sto annegando!" gli dissi in preda al panico.
"Cos... Aspetta, come sarebbe a dire che stai annegando?!"
"Non lo so, la lavatrice è impazzita, sono bloccata in un mare di schiuma!"
"Ok, ascolta. Dovrebbe esserci un cartellino sul lato della lavatrice, con il numero del centro assistenza. Leggilo ad alta voce e li chiamerò io."
"Ok."
Mi alzai goffamente, appesantita dai miei stivali inzuppati d'acqua, e vidi le mie gambe già segnate dalle cadute. Presto avrei avuto dei lividi spaventosi. Cercai qualcosa a cui reggermi, raggiunsi il lato della lavatrice e fissai quello che rimaneva di un adesivo sbiadito per decifrare il numero.
"Ci sono!" dissi trionfante, "Allora, il numero è... Ah!"
"Emily?!"
"Ahi..."
"Maledizione, che diavolo stai combinando?!"
"Sono caduta di nuovo. Che male..." piagnucolai affranta e frustrata.
"Va bene, ho capito. Resta dove sei."
"Eh?"
"Sto arrivando, perciò non muoverti da lì."
Non mi diede il tempo di scusarmi, né di ringraziarlo. Mise giù la chiamata ed io rimasi con il cellulare tra le mani, circondata da bolle di sapone che sembravano volermi seppellire. Sperai che non ci fosse traffico, che lui arrivasse in fretta, e così fu.
Lo vidi spuntare sulla soglia della porta, agitato e stupito. Prima mi guardò con tenerezza, ma subito dopo esplose in una risata derisoria. Cominciò a camminare verso di me, con un equilibrio invidiabile, poggiando i palmi delle mani lungo le pareti, mentre io tendevo le braccia verso di lui, aspettando che mi salvasse. Mi sentivo così ridicola.
Mi aiutò ad alzarmi, e per poco non finimmo entrambi per terra. Mi aggrappai saldamente a lui e in un modo o nell'altro riuscii a venire fuori da quell'inferno, gocciolante e infreddolita.
Lui guardò la sua preziosa maglietta griffata marchiata irrimediabilmente dalle mie mani intrise di sapone e scosse la testa, poi fissò lo sguardo su di me.
"Non preoccuparti, le macchie verranno via." lo tranquillizzai.
Ignorò del tutto la mia frase, e invece mi chiese:
"Ti sei fatta male?"
"Solo un po'." risposi mostrando il mio polpaccio che stava già iniziando a gonfiarsi.
Castiel fece una smorfia.
"Ah... Andiamo di sopra, tutto questo detersivo mi sta facendo venire il mal di testa."
Mi aiutò a stendermi sul divano appena fummo in casa, mi portò un asciugamano, insolitamente gentile e premuroso. Fece un paio di telefonate delle quali non compresi nulla, e si voltò a guardarmi mentre cercavo di asciugarmi. Mi venne vicino senza dirmi una parola, si mise sopra di me e mi guardò severamente.
Ero confusa. Mi era saltato addosso o voleva solo sgridarmi?
Ancora in silenzio e sotto il mio sguardo dubbioso, si tirò via la maglietta lasciandomi imbambolata.
"Castiel..."
"Sì, lo so, dovrei preoccuparmi e prendermi cura di te, ma spiegami come posso resistere davanti a una ragazza tutta bagnata."
Mi spogliò impaziente, come un bambino affamato avrebbe scartato un dolce.
Pensai che fosse davvero un'ottima ricompensa, lasciarmi accarezzare dalle sue mani sublimi dopo le scivolate che avevo preso poco prima, e mentre già pregustavo il momento in cui l'avrebbe fatto, e subivo i suoi baci caldi e violenti, qualcuno suonò alla porta.
"Che facciamo?" chiesi.
"Ignoriamolo."
Scese sul mio seno, sul mio addome, e di nuovo il campanello trillò, insistentemente.
"Castiel, forse dovremmo..."
"Silenzio, se ne andrà."
E invece, non se ne andò. Quella persona cominciò a suonare a ripetizione, e non mostrava alcuna intenzione di arrendersi.
"Dio, odio quando ci interrompono." si lamentò lui, tirandosi su.
Sbuffò, si mise in piedi, e mentre richiudeva i bottoni dei suoi jeans, il campanello continuava a trapanare i nostri timpani.
"Un attimo!" gridò contro la porta.
Mi rimisi in ordine anch'io, e lui andò ad aprire infuriato e a torso nudo, infischiandosene delle buone maniere e di chiunque si trovasse lì fuori.
Sentii quella voce... e d'istinto premetti un palmo sul mio viso.
"Oh, Castiel, cosa ci fai qui a quest'ora? E perché ci avete messo così tanto a rispondere? Mi stavo preoccupando, pensavo che Emily fosse morta!"
"Mamma..." mormorò a denti stretti. "Che cosa vuoi?"
"Niente, passavo di qui per caso, e allora..." spiegò vagamente Mami, spingendo di lato il figlio e introducendosi presuntuosamente in casa. Vidi cosa aveva in mano e trasalii.
Sventolò in aria un paio di mutandine minuscole di tulle arricciato, forse tra le più imbarazzanti del mio guardaroba e mi domandò:
"A proposito, ho trovato queste sulle scale. Sono tue, vero? Oh, ma certo che sono tue, conosco i gusti di mio figlio. Dovete fare più attenzione, santo cielo!" continuò, come se volesse sgridarci entrambi. "Capisco la passione travolgente, ma sulle scale... è così sporco, rischiate di prendere un'infezione!"
Se io avevo raggiunto il limite della mia vergogna, Castiel aveva ampiamente superato quello della sua pazienza. Scuro in volto, tenne la porta aperta e sibilò:
"Mamma... Vattene. Ora."
Mami si guardò intorno spaesata, si finse ingenua, fissò gli occhi sul divano e si mise una mano davanti alla bocca.
"Ho interrotto qualcosa, forse?"
"Sì." rispose lui senza pietà.
"Oh... allora tornerò tra mezz'ora, va bene?"
"No, per niente."
"Tra un'ora? Non vi basta un'ora?"
"Fuori di qui!"
"Va bene, va bene. Quanto sei permaloso."
La situazione mi faceva venire un po' da ridere, ma sapevo che se anche avessi osato sogghignare, Castiel si sarebbe arrabbiato. Ripensai alle parole di Mami, e mi assalì un dubbio.
"Castiel... come fa tua madre a conoscere i tuoi gusti, esattamente?"
"È una storia lunga."
"E non me la racconterai, vero?"
"Non oggi."