giovedì 22 gennaio 2015

A Devil in Paris - Devil's Coiffeur

I capelli di Castiel allungavano a vista d'occhio. Ogni giorno erano più sani, lucenti e vitali che mai, e iniziarono presto a infastidirlo. Gli cadevano sul volto quando mangiava, quando leggeva, quando mi baciava, ma soprattutto quando facevamo l'amore. 
In quei momenti, lui pretendeva che tutto fosse perfetto, così, una notte, gli legai le ciocche più lunghe sulla nuca con uno dei miei elastici. 
Il codino gli stava davvero benissimo, e gli piacque, tanto che decise di tenerlo fino al giorno in cui finalmente ebbe il tempo di andare dal parrucchiere.
Io andai insieme a lui, naturalmente. Era un salone di bellezza enorme, con grandi vetrate che davano su un viale trafficato e alla moda. Appena entrati, mi affidò alle sapienti mani di uno dei coiffeur, parlandogli strettamente in francese per proibirgli in modo assoluto di manomettere i miei boccoli. Lui non voleva che li tagliassi. Ogni volta li rigirava tra le proprie dita, quasi fossero di sua proprietà.
Il parrucchiere che si occupò di me, quindi, si limitò a farmi un trattamento lungo e tedioso, stendendo prodotti oleosi ciocca per ciocca con pettine e pennello.
Lo specchio davanti a me mi ritraeva così da vicino che mi sentivo ridicola, ma mi permetteva di sbirciare nella direzione di Castiel, finché non lo vidi sparire in un corridoio.
Lo persi di vista subito dopo, ma se avessi voluto trovarlo, mi sarebbe bastato seguire i risolini delle ragazze nel salone, e i loro sguardi civettuoli.
Prima che potessi vederlo, passò quasi un'ora. I miei capelli non erano molto diversi, ma quelli di Castiel mi sorpresero. Sulla nuca aveva un codino sottile, simile a quello che gli avevo fatto io qualche giorno prima.
Gli chiesi perché avesse voluto tenerlo e la sua risposta mi lasciò senza parole.
"Perché mi piace come tocchi i miei capelli."
Lo osservai attentamente. Le ciocche ribelli, nere come la notte, domate intorno al suo volto, sulla sua fronte, minacciavano di scomporsi da un momento all'altro, e sulla spalla, brillante, poggiato sul cardigan di un tessuto morbido e chiaro, quel codino sembrava parlare di me, anzi, di noi, delle nostre nottate insonni, delle fughe negli hotel più sperduti della città quando, esausto dalle persone che continuavano a cercarlo, mi portava dove non potessero trovarci.
Lo sfiorai con le dita e sorrisi.
"Hai voluto tenerlo solo per questo?"
"Sì." mi rispose distogliendo lo sguardo. "E non ho intenzione di farlo toccare a nessun altro. Questo sarà un... simbolo. Qualcosa che appartiene solo a te."
Mantenne la parola. Ogni mattina, prima che uscisse, osservavo attentamente i suoi capelli, e quando tornava, mi accorgevo che erano rimasti intatti. Non ha mai permesso a nessuna donna di passare le dita tra i suoi capelli come facevo io.
Quella sera stessa, a letto, non riuscivo a smettere di baciarlo. Tenevo una mano sulla sua spalla, e l'altra sulla sua nuca, sentivo scorrere le sue ciocche fini e morbide tra le mie dita, e il suo corpo contro il mio. Scesi dalle sue labbra a baciargli il collo, il petto, annegando nel suo profumo, estasiata per ogni volta che ansimava. Però sapevo che non avrebbe sopportato a lungo quel contatto.
A un certo punto allontanò la mia testa e mi fermò.
"Emily, piano... piano. Che cos'hai stasera?"
"Non lo so."
Rise, mi allontanò di più, ed io lottai contro le sue braccia per avvicinarmi di nuovo.
"Invece lo sai, ma ti imbarazza dirlo."
"Ti voglio." mi sfuggì involontariamente. Non glielo avevo mai detto. Certo, lo avevo pensato molte volte, forse lo pensavo ogni volta che lo guardavo, ma non avevo mai avuto il coraggio di dare voce ai miei pensieri.
"D'accordo." Mi rispose, e si sciolse i capelli.
Tenne l'elastico tra le dita, mi unì i polsi dietro la testa, e lo usò per bloccarmi le mani. Istintivamente, mi morsi il labbro inferiore.
"Però, adesso devi calmarti." mi intimò a voce bassa, "Ti darò tutto quello che vuoi, ma questo è il mio gioco."
Era il suo gioco, e decideva lui le regole. Non avevo mai avuto nulla in contrario. Controllava ogni cosa con la maestria di un direttore d'orchestra. Il mio piacere, il suo, i miei orgasmi, la mia voce, ma non il suo istinto. Quello era degno di un diavolo.

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