Una volta stavo per dirglielo.
Stavo per commettere l'errore più grande, e ho rischiato di perderlo.
Mi teneva stretta tra le sue braccia, alle mie spalle. Mi accarezzava lentamente, faceva scorrere le sue dita fredde sulla mia pelle, al buio della nostra stanza. Si divertiva a stuzzicarmi, a farmi ansimare e a tenermi ferma, finché, stanca dell'attesa, finivo per implorarlo a darmi di più.
Quella sera, forse perché era da molto tempo che non passavamo la notte insieme, fu di una dolcezza indimenticabile. Trascinata in una lunga agonia, tra gli spasmi e i suoi baci febbrili, il suo profumo, e guardando quegli occhi famelici, schiusi le labbra e pronunciai il suo nome con voce tremante.
"Castiel, io..."
Lui lo intuì, in qualche modo. Mise una mano sulla mia bocca per farmi tacere e rispose soltanto:
"No."
Lo guardai intensamente. Cercai di dirglielo con gli occhi, ma aveva già capito, e non c'era alcun bisogno di fare altro.
"Non dirlo." mi intimò in un sussurro. "Odio quella frase. La odio con tutto me stesso."
Poi, come a voler spezzare l'incanto in cui mi aveva annegata, riprese a farmi male, ad affondare dentro di me con più forza. In realtà, in quel modo mi faceva impazzire ancora di più.
Anche se non voleva sentirselo dire, anche se non mi permetteva di dirglielo, non poteva impedire che glielo esprimessi in altri modi, in tutti i modi possibili.
Infondo, non avevo davvero bisogno di parole per farglielo capire.
Anche nel suo inferno, nella sua prigione, in mezzo ai suoi sentimenti contrastanti, non potevo fare a meno di amarlo.
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